Piadina

Quella ricetta non la so più (o non la voglio più sapere né ricordare); questo è il modo che uso oggi o meglio, questa è una versione media della varianti che di volta in volta mi capita di fare e che mi guadagna i complimenti di moglie e figli.

Ingredienti

Farina: 700 grammi; strutto: dai 70 ai 100 grammi; miscela di acqua e latte (fifty-fifty): 350 grammi; “dose” (lievito in polvere: NON quello per dolci): una bustina (anticamente, è risaputo, come agente lievitante si usava il bicarbonato di sodio; se non si ha la “dose” si può utilizzare, ma tende, in cottura, a dare un colore giallastro alla piada, poco appetibile); sale: 10 grammi. Con queste quantità faccio 8 piadine, che sono sufficienti per le necessità alimentari della mia famigliola.

Preparazione

Metto la farina, il sale e il lievito in una boule di vetro (che trovo più adatta a me, che ancora fatico a dominare la “fontana” preparata sul tagliere); mescolo e unisco lo strutto che maneggio per mescolarlo il più possibile alla parte secca dell’impasto; unisco la miscela liquida e, dopo averlo impastato grossolanamente, lo trasferisco sul tagliere dove continuo a lavorare l’impasto “di polso” per qualche minuto; faccio riposare un po’ l’impasto (diciamo 5 minuti) e lo lavoro nuovamente per renderlo più “liscio”; metto il “testo” sul fuoco (il testo è la teglia di terracotta fatta apposta per cuocere la piadina) e lo faccio scaldare bene a fuoco medio su una fiamma larga; dopo circa 15-20 minuti, taglio delle palline che stendo col matterello e che mia moglie -autonominatasi addetta alla cottura- cuoce bucherellando con i rebbi della forchetta l’impasto per evitare la formazione di bolle. La gira un paio di volte ed è pronta. Facile, no?

Provenienza della ricetta

Romagna.

Cosa rappresenta per te questa ricetta?

Ora sono molto migliorato. Quella volta, invece… Eravamo in tre, io, il Chiado e Satana e stavamo facendo un nostro tour per l’Italia in Vespa, con meta finale il Parco Nazionale d’Abruzzo. Visto che saremmo dovuti andare in Abruzzo, il Chiado ci propose di fare una puntatina a Forlì del Sannio, in provincia di Isernia, dove aveva alcuni amici: quando era obiettore di coscienza a Forlì (la nostra, quella in Romagna), ci fu un terremoto (non quello dell’Irpinia, un altro con epicentro proprio dalle parti del Parco Nazionale) e dalla Romagna partirono alcune squadre di soccorritori. Da Forlì partirono i soccorsi per l’omonima e lesionata cittadina sannitica. Gemellaggio solidale. Il Chiado c’era ed ebbe modo di stabilire buoni contatti con gli indigeni (e, noi sospettavamo, con le indigene: in fondo il Chiado è sempre stato un bel ragazzo; si difende anche adesso che pesa il doppio) che ha mantenuto per un po’ anche finita l’emergenza. Fatto sta che arriviamo dai forlivesi sanniti che ci offrono ospitalità nel campo da calcio per  allestire la nostra -ora limitata- tendopoli, e pranzi e cene per un paio di giorni. Poi, per ricambiare e lasciarli con un buon ricordo, decidiamo di preparare noi la cena di commiato e decidiamo di fare la piadina romagnola. Nessuno di noi l’aveva preparata prima, ma chissà, quella volta avremo pensato che fosse sufficiente essere romagnoli per riuscire. Inutile dire che no, non è sufficiente la carta d’identità; venne fuori una cosa imbarazzante, al limite del mangiabile che comunque spacciamo agli ignari sanniti come l’autentico piatto nazionale romagnolo, fatto seguendo la ricetta della nonna. Del Chiado, naturalmente. (La piadina è piaciuta, credo più per la cortesia e la riconoscenza dei terremotati che per qualità intrinseche.)

Chi sei?

Antonio Tolo, Forlimpopoli.

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